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AZIENDA AGRICOLA SARA – La nostra passione per il vino cotto .

Cos’è il nostro Vino Cotto

Definito in dialetto “vìcotto”, il VINO COTTO è bevanda antichissima, in cui rivivono tanti elementi della nostra tradizione e della nostra cultura: il mosto delle uve provenienti dal nostro vigneto e non trattate viene bollito a fuoco diretto in caldaie di rame per circa 12 ore fino a farne evaporare circa un terzo, durante questo processo affiora una schiuma, sostanze proteiche e impurità. Dopo essere stato schiumato, il concentrato così ottenuto viene lasciato raffreddare e messo a fermentare in barrique di rovere francese dove viene conservato per 3 anni rabboccandolo ad ogni vendemmia.
Dopo il terzo anno viene travasato in una vecchia botte in rovere e poi imbottigliato in fiaschetti da 50cl cercando di mantenere una gradazione alcolica non superiore agli 11° restando non eccessivamente dolce e facilmente bevibile. Ottimo accostamento con dolci e soprattutto cantucci.
Per questo il vino cotto era sempre presente sulle tavole nei giorni di festa, come segno di ospitalità quando si ricevevano visite e veniva utilizzato per recuperare energia dopo i lavori più faticosi come quello della mietitura,
questa è l’antica ricetta tramandata fino a noi grazie a ‘nonno Valè’.
Abbiamo scelto il fiaschetto impagliato per dare maggiore valore anche sotto l’aspetto estetico al nostro prodotto.

FIASCHETTO VINO COTTO

Cenni Storici 1…

La sua millenaria storia è da ricollegarsi ad uno dei primi metodi di trasformazione delle uve generate, utilzzato già dai Piceni nell’area geografica che gli antichi Greci denominavano Enotria (Italia, terra dei vini).

Si narra che già gli imperatori romani utilizzavano il vino cotto come bevanda di fine pasto e abbiamo varie testimonianze dell’ uso del Vino Cotto da Plauto, Plinio e Columella, i quali lo descrivevano nelle loro opere come un’ antica e ricercata bevanda prodotta in Italia:

  • Nel 191 a.C. Plauto nella commedia “Pseudolus” lo cita tra le bevande da servire in un lauto banchetto.
  • Plinio il Vecchio nel I sec. d.C. nella sua Naturalis Historia cita il vino cotto e indica il metodo di preparazione, secondo cui l’ebollizione del mosto deve rispettare un preciso calendario lunare.
  • Nel I secolo d.C. Columella, un soldato romano che divenne scrittore per amore dell’agricoltura, nella sua opera “De re rustica” descrive dettagliatamente la preparazione del vino cotto, per nulla diversa da quella ancora in uso: “ … fino a diminuzione di un terzo si cuocia del mosto di sapore dolcissimo; quando è cotto si chiama defruntum. Esso appena raffreddato si trasferisce nelle botti e si ripone per usarne.”
  • Nel 1534 Sante Lancerio, bottigliere di Papa Paolo III esalta la bontà del vino cotto ritenendolo di qualità tale da poter essere utilizzato durante la messa.
  • Andrea Bracci nel suo testo “De naturali vinorum histora di vinis italiae” del 1596 ne descrive il procedimento di preparazione tipico della zona del Piceno.

Numerosi autori citano il vino cotto in opere recenti decantandone le proprietà:

Mario Soldati, che nel 1971, assaggiando un vino cotto di 60 anni, ben fa intendere l’esperienza che si vive degustando questo nettare con queste parole “ … Come vino da dessert lo trovo ottimo, di un bel colore rosso mattone e riflessi di oro cupo, il sapore starno affumicato e ruvido nella sua moderata dolcezza, corregge ed evita quella dolcezza vischiosa e a volte nauseabonda di tanti passiti o marsalati”.

Cenni Storici 2…

Nella zona del Fermano, ma anche in parte dell’Ascolano e del Maceratese, troviamo la tradizione del Vino Cotto. Secondo fonti storiche (Plinio – I secolo d.C.), il vino veniva fatto bollire in modo da ridurne il quantitativo e aumentare adeguatamente la densità, dando sapore e dolcezza e permettendo anche una lunga conservazione. Era in uso già nei Piceni, probabilmente con una tecnica appresa dai Greci.

Secondo lo storico Tito Livio, Annibale dopo l’inutile assedio di Spoleto, scavalcato l’Appennino e attraversata la valle del fiume Salinello, in attesa di raggiungere la Puglia, si fermò sul mare, e precisamente ad Atri, ove esistono molte vestigia romane. Per ritemprare i cavalli stanchi per il lungo percorso iniziato dalla Spagna venivano sottoposti a massaggi ai garretti (gambe posteriori) con un liquido particolare, riferibile al vino cotto.

In realtà il termine vino cotto è improprio in quanto è il mosto che viene cotto in un caldaro (grossa pentola di rame), per fare evaporare l’acqua e concentrare gli zuccheri. Inoltre, c’è da sottolineare che il vino deriva da mosto fresco, mentre il nostro “vino cotto” deriva dalla cottura del mosto. L’uva non utilizzata per il vino tradizionale, cioè quella con concentrazione zuccherina molto bassa, veniva usata per produrre vino cotto per ottenere così gradazioni più alte.

Abitualmente le uve utilizzate erano quelle particolarmente acquose e poco alcoliche, provenienti da morfologie sfavorevoli, con esposizioni a Nord, su versanti con forte ruscellamento, oppure localizzati nel fondovalle con terreni argillosi umidi senza drenaggio, con ristagni idrici e spesso in ombra.

Quando il raccolto era peggiore del solito –  una brutta annata – il proprietario del terreno sceglieva l’uva migliore e lasciava al contadino quella più rovinata. Questi, per non rischiare di rimanere senza vino, facendo ricorso alla cottura del mosto. Oggi il vino cotto, dopo la sua lunghissima storia, è un prodotto di alta qualità, invecchiato, molto apprezzato nelle nostre tavole soprattutto durante queste feste di Natale.

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